lunedì 30 novembre 2015

La composizione delle crisi da Sovraindebitamento….una via di uscita dai debiti….

La recente legge n. 3 del 27 gennaio 2012 ha, per la prima volta, introdotto nel nostro ordinamento una procedura di esdebitazione destinata a coloro che non possono accedere alle procedure concorsuali previste dalla Legge fallimentare.

Il procedimento previsto dalla legge n. 3/12 é rivolto quindi ai privati ed alle piccole imprese e permette la cancellazione dei debiti pregressi (discharge) del debitore (persona fisica o ente collettivo ovvero consumatore) ivi compresi quelli verso il fisco (Equitalia).
La nuova legge é rivoluzionaria perché permette abbastanza facilmente di gestire situazioni debitorie prima impossibili da governare arrivando alla fine alla cancellazione dei debiti.
La norma é stata introdotta, in questi tempi di forte crisi economica e finanziaria, per la necessità di attribuire alle situazioni di insolvenza (sovraindebitamento) del debitore non fallibile (piccole imprese o società artigiane, ad esempio) ovvero del consumatore la possibilità della cancellazione dei debiti al fine di ripartire da zero (di qui l’espressione fresh start utilizzata in tali ipotesi) e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia, senza restare schiacciati dal carico dell’indebitamento preesistente.
Liberarsi dai debiti ora é possibile.
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Equitalia: cartella nulla se la notifica va a vuoto senza ulteriori ricerche

Se l’ufficiale giudiziario incaricato di notificare la cartella di pagamento di Equitalia non trova il destinatario dell’atto nel luogo di residenza indicato sulla busta non può lavarsi le mani e chiudere le operazioni di notifica semplicemente scrivendo sulla relata “sconosciuto in loco”, ma è tenuto a effettuare ulteriori ricerche. Diversamente la notifica è nulla. Così, se il contribuente impugna il pignoramento subìto successivamente, o il preavviso di ipoteca o il fermo auto, sostenendo che nessuna cartella esattoriale gli è mai stata notificata prima, Equitalia, nel fornire la prova contraria, non può limitarsi a esibire una semplice notifica andata a vuoto per non avere l’agente notificatore trovato il destinatario all’indirizzo indicato sulla busta. È necessario dimostrare di aver tentato un’ulteriore e approfondita ricerca.
È quanto chiarito dalla Cassazione con una ordinanza pubblicata poche ore fa [1].
Secondo i Supremi giudici, è illegittima la notifica della cartella di pagamento se l’agente notificatore si limita ad annotare che il contribuente risulta sconosciuto. Perché il destinatario venga a conoscenza dell’atto di intimazione, è necessario effettuare le doverose ricerche, non bastano invece le mere attestazioni del messo notificatore “sconosciuto sui citofoni” e “sconosciuto in loco”.
La notifica non può essere valida se il tentativo di rintracciare il contribuente si è limitato solo al luogo di sua residenza anagrafica: la relata della cartella, che si è tentato di consegnare presso la residenza anagrafica del contribuente, non è sufficiente ad attestare l’irreperibilità assoluta dell’uomo solo perché il suo nome non era presente alla porta o sul citofono. Sebbene nessuna norma prescriva quali specifiche attività debbano esattamente essere compiute, né con quali espressioni verbali e in quale contesto documentale debba essere espresso il risultato di tali ricerche, è comunque necessario che emerga chiaramente che le ricerche sono state effettuate, che sono attribuibili al messo notificatore e riferibili alla notifica in esame. Dalla mera attestazione “sconosciuto sui citofoni” e “sconosciuto in loco” non emerge – così si legge nel provvedimento della Cassazione – “se il messo notificatore abbia effettuato ricerche di sorta e, in ipotesi, quali per pervenire alla conclusione che il destinatario della notifica fosse sconosciuto in loco”.
IN PRATICA
Il tentativo di notifica presso la residenza anagrafica per attestare l’irreperibilità assoluta del destinatario non basta, perché anche se è ignoto il nuovo indirizzo del destinatario è compito del notificante verificare la presenza del destinatario sia all’indirizzo dove è stata richiesta la notifica che nell’intero comune; la relata «sconosciuto sui citofoni» non basta per fare presumere l’effettuazione di ricerche al fine di indicare il destinatario come «sconosciuto in loco», perché l’acquisizione di notizie e/o effettuazione di ricerche, pur non essendo regolata da alcuna norma, deve essere compiuta per giustificare il percorso logico inteso a ricondurre correttamente il tentativo di notifica. Risultato: il notificatore deve sempre verificare la presenza del destinatario sia all’indirizzo dove è stata richiesta la notifica sia nell’intero Comune. Infatti egli deve sempre verificare quanto già risulta dai registri pubblici.
[1] Cass. sent. n. 24082/15 del 25.11.2015


Accordi con Equitalia: possibile un saldo e stralcio?

Accordi con Equitalia: possibile un saldo e stralcio?

Non è possibile, se non entro determinate forme e limiti che qui di seguito vedremo, presentare istanze di saldo e stralcio ad Equitalia, cioè accordi che, dietro pagamento di una parte del debito, consentano la cancellazione della residua parte non corrisposta. L’istituto della “transazione”, infatti (ossia la definizione di una controversia, non necessariamente sfociata in una causa, tra due soggetti, nella specie creditore e debitore) è previsto solo nelle liti tra privati e non in quelle con lo Stato. Stato che, infatti, è tenuto a rispettare il principio di imparzialità nei confronti di tutti i cittadini: pari trattamento e pari condizioni che, certo, verrebbero meno se con alcuni di questi accedesse a degli accordi, benché giustificati da ristrettezze economiche.
Tuttavia, esistono dei sistemi per trovare delle definizioni alla propria vicenda debitoria.
Innanzitutto, nel caso in cui la pretesa avanzata da Equitalia non sia dovuta, è sempre consentito evidenziare l’illegittimità dell’operato dell’Agente della riscossione. Non si tratta, semplicemente, di “andare a parlare” con il funzionario di turno, poiché l’esposizione delle proprie ragioni deve avvenire con forme tipiche. Come, ad esempio, l’istanza in autotutela, ossia una richiesta in forma scritta, inoltrata anche attraverso posta elettronica certificata alla sede territorialmente competente di Equitalia, con cui si chiede lo sgravio della cartella, evidenziandone le ragioni. Non ci sono formule particolari, né l’istanza è soggetta a bolli o a condizioni. Addirittura, la giurisprudenza è ormai arrivata a ritenere possibile la presentazione dell’autotutela anche se i termini per fare ricorso sono scaduti, essendo obbligo della pubblica amministrazione (e, in senso lato, anche di Equitalia) procedere all’annullamento di un proprio atto illegittimo anche qualora le possibilità di ricorso, da parte del contribuente, siano venute meno per decadenza dei termini. L’attività dello Stato, infatti, si deve uniformare al principio di correttezza e imparzialità e non, invece, a speculare anche sull’inerzia del privato.
Qualora, tuttavia, la richiesta di pagamento da parte di Equitalia sia corretta e legittima, il contribuente ha differenti possibilità per “trovare un accordo”. Ferma restando la possibilità di rateazione del debito (a 72 o 120 rate mensili da non meno di 100 euro l’una), l’ulteriore possibilità è quella di proporre un “accordo ai creditori” previsto dalla cosiddetta legge “Salva suicidi” [1]. La particolarità di tale procedura è che, anziché rivolgersi direttamente al creditore, si presenta un’istanza in tribunale che nomina un organismo di composizione della crisi (potrebbe trattarsi anche di un professionista come un avvocato o un commercialista). Attraverso tale soggetto, viene presentata al giudice una proposta di “saldo e stralcio” che deve essere votata dai creditori. Nella proposta si deve illustrare l’offerta ai creditori e le modalità di pagamento, offrendo idonee garanzie all’esatto adempimento. Se c’è il voto favorevole del 60% dei creditori (o, se uno solo, dell’unico creditore), il giudice autorizza il piano e il debitore ottiene una serie di benefici:
– si interrompono tutti i pignoramenti in corso;
– all’avvenuto pagamento di quanto concordato con i creditori, gli viene cancellato tutto il residuo debito.
Questa procedura è ammessa anche quando il creditore è uno solo (nella specie, Equitalia).
Una seconda soluzione, sempre prevista dalla medesima legge prima indicata, è quella di presentare il cosiddetto piano del consumatore, non dissimile – come procedura – rispetto all’accordo ai creditori (ossia: richiesta al giudice, nomina di un organismo di composizione della lite e liquidazione del patrimonio), solo che, in questo caso, non c’è neanche bisogno del consenso del 60% dei creditori (o, se uno solo, dell’unico creditore): basta il “nulla osta” del giudice (cosiddetta omologazione del piano). Il magistrato, dopo aver valutato la meritevolezza del piano (il debito, cioè, non deve essere stato determinato da comportamento colpevole o volontario del soggetto) e la fattibilità dello stesso, lo autorizza direttamente.
Proprio di recente il Tribunale di Busto Arsizio ha consentito la esdebitazione di un contribuente che aveva accumulato un forte debito con Equitalia e che, tuttavia, anche lavorando un’intera vita, non avrebbe mai potuto pagarlo. Stesso discorso è avvenuto a Varese, dove il giudice ha defalcato l’importo complessivo dell’87%.
Per accedere al piano del consumatore è però necessario non essere una società (la proposta è infatti riservata alle sole persone fisiche) e il debito non deve essere legato all’attività professionale o imprenditoriale (per le quali ipotesi resta sempre la possibilità dell’accordo ai creditori).
E se il debitore ha beni immobili che non riesce a vendere e con il cui ricavato potrebbe pagare il debito? In questi casi è sempre consentita un’ultima possibilità: la cosiddetta liquidazione del patrimonio, che – su richiesta del debitore – fa sì che il tribunale nomini un liquidatore dei beni e, con il ricavato dalla vendita all’asta, si paghino in percentuale i creditori. Anche in questo caso, si presenta un’istanza al giudice che la autorizza.
In tutti e tre i casi appena evidenziati è sempre necessaria la presenza di un avvocato o di un commercialista che formuli l’istanza – tenendo conto di una ragionevole possibilità di soddisfazione del creditore – per conto del contribuente. La procedura è piuttosto complessa e l’onorario del professionista potrebbe essere non proprio economico. Bisognerà quindi valutare la convenienza di tale possibilità alla luce dell’ammontare del debito complessivo maturato con Equitalia.


venerdì 27 novembre 2015

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UFFICI DEL COMUNE PRESI D’ASSALTO DAI CITTADINI

Equitalia, cartelle pazze e multe salate a Boscoreale: è caos

In corso migliaia di avvisi di accertamento con la richiesta di pagamento di cifre consistenti per la Tassa sui rifiuti solidi urbani per gli anni dal 2010 al 2012

Caos cartelle pazze al Comune di Boscoreale (Napoli) dove sono in corso di notifica migliaia di avvisi di accertamento con la richiesta di pagamento di cifre consistenti per la Tassa sui rifiuti solidi urbani per gli anni dal 2010 al 2012. Equitalia Sud e Comune di Boscoreale chiedono il versamento di cifre che sarebbero state pagate ma i cittadini contestano la richiesta che in alcuni casi supera i 2500 euro comprensiva di interessi di mora e di sanzioni senza che in precedenza sia stato inviato alcun atto.
«Non abbiamo ricevuto nulla - dicono in piazza Pace, dove si trova la sede del Municipio - e poi hanno passato direttamente la pratica ad Equitalia». Alcuni residenti riferiscono che sull’avviso di accertamento viene chiaramente spiegato che il pagamento della Tarsu per l’abitazione principale, negli anni in questione, è avvenuto regolarmente mentre mancherebbe il versamento per le pertinenze come i garage. «Nessuno ce l’ha mai chiesto e ora pretendono anche mora e sanzioni. E poi - si chiedono i residenti - come si fa ad equiparare i garage alle abitazioni principali?».
Qualcuno mostra anche una cartella con errori di calcolo: a un contribuente, ad esempio, viene chiesto il pagamento della intera cifra relativa a un garage in un condominio ma il garage in questione è di proprietà di quattro differenti persone. Affollati gli uffici del settore Ragioneria e fiscalità locale del Comune dove si sono riversati molti cittadini per avere spiegazioni ma la struttura si è rivelata insufficiente a far fronte alla massa di persona: è aperta un solo giorno a settimana, il giovedì. Bisogna recarsi sul posto, prendere il numero e poi ritornare successivamente. E questo ha creato ulteriori disagi e lamentele, oltre allo choc per cartelle con cifre molto elevate da pagare e, secondo quello che riferiscono in tanti, «del tutto ingiustificate».





mercoledì 25 novembre 2015

Accertamento nullo se il fisco non spiega la ragione per cui chiede le carte

Accertamento nullo se il fisco non spiega la ragione per cui chiede le carte

Viene annullato l’accertamento fiscale se l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza chiedono al contribuente di esibire una serie di documenti senza però spiegargli le ragioni di tale richiesta e della verifica in corso: il cittadino, infatti, ha diritto sin dall’inizio delle operazioni a comprenderne le ragioni delle stesse, onde difendersi con proprie osservazioni per far emergere la legittimità del proprio operato.
A dirlo è la Commissione Tributaria Provinciale di Forlì che, con una recente sentenza [1], ha ricordato che il contraddittorio con il soggetto sottoposto a verifica va instaurato fin dalla fase procedimentale. Non rileva che, a riguardo, manchi una norma apposita nel nostro ordinamento: lo impone invece la giurisprudenza della Corte di giustizia europea prima ancora dello stesso Statuto del contribuente, in virtù dei principi di chiarezza e tutela.

Secondo la Corte di Giustizia europea [2] il diritto di difesa deve essere garantito ogni volta che l’amministrazione finanziaria ha intenzione di adottare nei confronti di un soggetto un atto a lui lesivo. Pertanto, il “contraddittorio preventivo” è necessario anche in assenza di una espressa previsione normativa. E in effetti la nostra Costituzione [3] impone che gli interessi pubblici perseguiti siano bilanciati con quelli dei privati: è il cosiddetto principio di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, che implica l’obbligo di un operato trasparente e rivolto, sostanzialmente, alla collaborazione con il cittadino.

Ed è proprio nell’ottica di realizzare tali finalità che il contraddittorio preventivo con il contribuente si muove: esso serve, infatti, attraverso lo scambio di informazioni tra il soggetto accettato e il fisco, a determinare la reale capacità contributiva del primo e la conseguente pretesa erariale.

Insomma, il contribuente ha sempre diritto a sapere cosa sta avvenendo nei suoi confronti se gli si chiede di collaborare, tirando fuori dagli archivi una mole di carte e scartoffie. Deve saperlo proprio per apprestare da subito un’opportuna difesa. In sintesi: l’Agenzia delle Entrate ha il dovere di instaurare il contraddittorio ancora prima della fase contenziosa perché è il legislatore che vuole garantire gli interessi sia del fisco sia del contribuente attraverso il procedimento di confronto.


[1] CTP Forlì sent. n. 2/2015. 
[2] C. Giust. UE causa C-349/07.
[3] Art. 97 Cost 



martedì 24 novembre 2015

Debiti, c’è la legge “salva suicidi”

In molti casi diventa possibile negoziare la riduzione di quanto dovuto fino al 60 per cento

Se un artigiano, un agricoltore, un commerciante o un semplice privato è schiacciato dai debiti, può risolverli appellandosi alla legge 3/2012 (detta anche Legge salva suicidi) che disciplina il piano di ristrutturazione del debito. Quanti sono stati finora i suicidi dovuti alla crisi economica e ai debiti accumulati per il fallimento di un'impresa o per avere perso il lavoro? Il problema affligge chi non riesce a saldare i propri debiti con le banche, con Equitalia o con i creditori privati.
Fisco facile si impegna a fare luce sull'esistenza di questa legge che finalmente aiuta chi ha perso tutto, ma si trova indebitato fino al collo. Anche molti professionisti del settore non conoscono bene la procedura. Questa legge è alla base delle operazioni che permettono di aiutare tutte le persone che si rivolgono agli enti o ai professionisti qualificati, commercialisti, notai, avvocati, per liberarsi una volta per tutte di un peso finanziario e psicologico che li opprime.
La legge si applica in quelle situazioni in cui il patrimonio del debitore non è sufficiente a coprire i debiti accumulati. Ma attenzione: questa situazione è anche quella di chi possiede un immobile che ha un valore superiore ai debiti, ma che a causa della crisi immobiliare viene svalutato. Ad esempio , la persona ha un debito di 100.000 euro, possiede un immobile del valore di 120.000 euro ma nessuno lo compra se non svendendolo. In questo caso è possibile ricorrere alla legge e trattare con i creditori per ridurre notevolmente la somma da risarcire.
Vediamo come opera il piano di risanamento. Chi ha contratto un debito può rivolgersi al Tribunale di competenza per chiedere una ristrutturazione del debito. Il giudice nomina un contabile che quantifica il valore complessivo dei debiti e quello delle proprietà possedute dal debitore. Il contabile, quindi, propone ai creditori un piano di rientro, che però viene stabilito in base a quello che il debitore può realisticamente pagare. La proposta, poi, deve essere accettata almeno dal 60% dei creditori. Tutto questo è ovviamente possibile perché i creditori, soprattutto le banche, sono disposte a fare uno sconto sulle somme che devono recuperare per non perderle, quindi preferiscono diminuire l'importo del loro credito invece di non recuperarlo per niente. Addirittura Equitalia, che prima non permetteva tale sconto, consente oggi di ristrutturare i debiti diminuendo il valore di quanto le è dovuto del 30-40%. Sovraindebitamento è quindi una "situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte ed il patrimonio prontamente liquidabile, che determina una significativa difficoltà o incapacità di estinguere i debiti".
Rientrano nella procedura molti casi, ad esempio: mancato pagamento delle rate del finanziamento, del mutuo, carte revolving e i vari prestiti effettuati da banche o da finanziarie. La novità degli ultimi mesi è che tale procedura può essere richiesta anche per i debiti pendenti con Equitalia o con altri agenti della riscossione e anche quando il creditore sia soltanto uno. I primi provvedimenti sono arrivati dal Tribunale di Busto Arstizio, che ha omologato con decreto del 15/9/2014 il piano di composizione della crisi da sovraindebitamento proposto da un cittadino a Equitalia Nord. La somma accolta dal giudice è di 11mila euro a fronte di un debito di oltre 87mila euro.
Il cittadino debitore può quindi avanzare una proposta al tribunale che, se accolta, diviene vincolante e deve essere accettata dai creditori. Il “piano del consumatore” deve essere redatto da un professionista (avvocato, commercialista o notaio) oppure da un organo di composizione della crisi e deve contenere le modalità di ristrutturazione del debito attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri. Il piano deve essere omologato entro 6 mesi dalla presentazione
della proposta, depositata in Tribunale, previo accertamento da parte del giudice dei requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 3/2012 e previa verifica dell'assenza di atti in frode ai creditori.



L’avviso di iscrizione di ipoteca di Equitalia: notifica e contenuto

L’avviso di iscrizione di ipoteca di Equitalia: notifica e contenuto

Perché Equitalia possa iscrivere ipoteca sull’immobile del contribuente moroso deve rispettare una procedura il cui elemento più importante è l’avviso di iscrizione ipotecaria: si tratta di una comunicazione preventiva, con cui viene assegnato al debitore un termine ultimo di 30 giorni per mettersi in regola; in mancanza, si procede all’iscrizione dell’ipoteca. Con una sentenza di questi giorni, la Cassazione è intervenuta sul punto ricordando che tale avviso può essere spedito anche con una semplice raccomandata con avviso di ricevimento, attraverso il servizio postale e non necessariamente con l’ufficiale giudiziario o con il messo notificatore: insomma, la stessa modalità prevista per la notifica della cartella di pagamento che, del resto, è l’atto preventivo (cosiddetto “titolo”) sulla base del quale è possibile dopo iscrivere l’ipoteca. Dunque, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario dell’avviso, alla data risultante dall’avviso di ricevimento della raccomandata, senza necessità di un’apposita relata di notifica, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza di Equitalia e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella. Ricordiamo peraltro che Equitalia è obbligata a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relata dell’avvenuta notifica o con l’avviso di ricevimento, a seconda della forma di notifica prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione. Procedimento Come detto, l’iscrizione di ipoteca deve essere preceduta dalla notifica di un avviso di iscrizione ipotecaria, dopo di che Equitalia può procedere all’iscrizione vera e propria. La previsione tutela il debitore, in quanto è rivolta ad evitare che i ritardi nei pagamenti siano conseguenti a difetti o inefficienze nella notifica degli atti impositivi. Equitalia non è tenuta ad effettuare alcuna ulteriore o successiva comunicazione, neppure una volta che l’ipoteca sia già stata iscritta. Sarà eventualmente compito del contribuente verificare che l’immobile sia stato ipotecato, andando a richiedere, presso il competente ufficio, una visura ipocatastale. L’obbligo di preventiva comunicazione deve lasciare al contribuente un termine di 30 giorni affinché possa esercitare il diritto di difesa, presentando opportune osservazioni o provvedere al pagamento del dovuto. Per quanto non specificato dalla norma, la comunicazione deve contenere: – l’identificazione dell’immobile (occorre l’indicazione del subalterno catastale relativo alla porzione immobiliare interessata e l’indicazione della somma per la quale l’ipoteca è iscritta; – il valore dell’immobile compresa la relativa rendita catastale; – il prospetto degli atti impositivi alla base dell’iscrizione; – il termine entro il quale si può proporre opposizione e l’autorità a cui proporla; – il responsabile del procedimento (ma l’omissione non sarebbe causa di nullità dell’atto (anche se vi è giurisprudenza contraria a tale interpretazione). È rilevante l’indicazione degli atti impositivi e l’importo totale per cui si procede, al fine di verificare il rispetto dei limiti di legge. Limiti all’iscrizione di ipoteca Ricordiamo che Equitalia è soggetta ad alcuni categorici limiti per l’iscrizione di ipoteca che abbiamo sintetizzato in questo articolo: Equitalia e l’ipoteca: i limiti da rispettare




venerdì 20 novembre 2015

Avviso di accertamento nullo se prima di 60 giorni dalla verifica



L’avviso di accertamento emesso prima dei 60 giorni dal termine della verifica fiscale (ossia dal verbale di rilascio di chiusura della verifica presso il contribuente) è illegittimo perché privo del requisito dell’urgenza; non rileva che al contribuente sia stato notificato un PVC (processo verbale di constatazione) prima dell’avviso impugnato. È quanto chiarito dalla Cassazione in una recente sentenza [1].


Cos’è il PVC
Il PVC (processo verbale di contestazione) è l’atto con cui, in caso di verifica fiscale presso la sede del contribuente, si conclude l’attività di controllo svolta dagli uffici dell’Agenzia o dalla Guardia di finanza; si tratta, in pratica, della consegna di un verbale in cui vengono indicate le eventuali violazioni rilevate e i relativi addebiti.
Tale atto non è impugnabile, poiché il contribuente, per agire in giudizio, deve attendere il successivo accertamento.


Il contribuente a cui sia stato notificato un processo verbale di constatazione relativo a violazioni in materia di imposte sui redditi e di IVA può accelerare la definizione della contesa attraverso l’istituto dell’adesione al processo verbale di constatazione.
La legge [2] stabilisce che: “…dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Il rispetto del termine dei 60 giorni è necessario per consentire al contribuente di presentare osservazioni.
Sulla questione si sono espresse diverse sentenze, non tutte di segno uguale. In ogni caso la giurisprudenza maggioritaria ritiene nullo l’avviso di accertamento emesso prima dei sessanta giorni dalla fine della verifica, da parte dell’amministrazione finanziaria.
Per la Corte di Cassazione il conteggio inizia dal giorno di consegna del verbale di ispezione e non da quello successivo del Processo verbale di contestazione (PVC): per i giudici di legittimità, infatti, il verbale di accesso equivale ad un PVC.
La nullità dell’accertamento fiscale, però, non si verifica se l’Agenzia delle Entrate dimostra, anche nel corso del giudizio, che sono presenti ragioni di “particolare e motivata” urgenza, che, secondo alcune sentenze, possono consistere nell’imminenza del decorso dei termini di decadenza.


LA SENTENZA


Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 29 aprile – 18 novembre 2015, n. 23547
Presidente Cappabianca – Relatore La Torre
Svolgimento del processo
La società L sas di MG, incorporata della M s.r.l., ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia n. 32/19/09 dep. 26/1/2009 che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’Ufficio in relazione all’avviso di recupero di credito d’imposta per incremento occupazionale (ex art. 7 J, 388/2000}, emesso in esito a verifica presso i locali dell’azienda del contribuente, ritenendo legittimo e adeguatamente motivato l’atto impugnato. La CTR ha statuito in particolare: che l’inosservanza del termine di 60 giorni dal rilascio della copia del processo verbale dì chiusura delle operazioni di verifica per la notifica dell’avviso di accertamento, previsto daffari. 12 della I. 212/2000) di 60gg, non può comportarne l’annullamento da parte del Giudice, non essendo prevista tale sanzione dal citato art. 12, e stante la tassatìvità delle cause di nullità; che non ha rilievo l’omessa allegazione del PVC, essendo stato notificato prima dell’emissione dell’accertamento impugnato.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate che chiede il rigetto del ricorso perché inammissibile e infondato.
Motivi della decisione
1. Deve essere esaminato per primo, in quanto logicamente prioritario, il secondo motivo del ricorso, col quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 12 co. 7 della L. 212/2000; degli artt. 3 e 21 septies della L. 241/90 (nonché degli artt. 24 e 97 Cost.), in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione del termine di 60gg. dalla notifica del pvc della notifica dell’atto di accertamento, privo della specificazione dei motivi di urgenza.
2. Il motivo è fondato.
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, è stato interpretato (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013) nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di recupero di credito d’imposta (cui va estesa la disciplina procedimentale fissata da tale disposizione con specifico riferimento all’avviso di accertamento: cfr. Cass. n. 19561/2014) – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia
del processo verbale di chiusura dette operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.
Manca nel caso di specie sia l’enunciazione sia la prova dei motivi di urgenza che avrebbero consentito la notifica del recupero del credito d’imposta prima dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, non essendo sufficiente, come affermato dalla CTR, che il PVC fosse noto al contribuente in quanto notificato prima dell’avviso impugnato. Detto termine è infatti posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi di buona fede e collaborazione tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio (Cass. S.U. n. 18184/2013 cit,).
3. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del primo, col quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 comma 2 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c,, per avere la CTR rigettato l’eccezione di passaggio in giudicato della sentenza della CTR in relazione al capo autonomo sulla illegittimità dell’avviso di recupero di credito d’imposta per omessa motivazione dell’urgenza di cui all’art. 12, co, 7 I. 212/2000; e del terzo, col quale si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 6, co, 5 I. 212/2000, per mancata pronuncia della CTR sulla nullità dell’accertamento; e del quarto, col quale sì deduce violazione di legge per la mancata allegazione del pvc all’atto impugnato, con conseguente difetto di motivazione dell’accertamento.
4. Conclusivamente il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito (ex art. 384, co. 2 c.p.c.}, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della società contribuente. Tenuto conto che l’orientamento giurisprudenziale indicato è emerso solo successivamente alla proposizione del ricorso, le spese vanno compensate.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo dei ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.


[1] Cass. sent. n. 23547/2015 del 18.11.2015.

[2] Art. 12, legge n. 212/2000, co. 7.



giovedì 19 novembre 2015

Avvisi di pagamento Equitalia via mail. L'Adiconsum: "Sono false, cestinatele

L’Adiconsum interviene sulle numerose segnalazioni giunte da cittadini e contribuenti sul recapito nelle caselle di posta elettronica di falsi “Avvisi di pagamento” inviati da Equitalia. 

“Ad una prima sommaria lettura le lettere appaiono attendibili in quanto riportano i giusti riferimenti normativi e sembrano inviate da un account riferibile alla predetta agenzia di riscossione. Il presunto atto ingiuntivo di pagamento, secondo quanto indicato nelle e-mail, si troverebbe depositato presso la Casa Comunale di residenza del malcapitato utente”.

È quanto riferisce l’Adiconsum di Benevento sugli avvisi di pagamento inviati da Equitalia che poi bolla le mail comunica come “comunicazioni totalmente false e prive di ogni fondamento”.

“Equitalia, come del resto l’Agenzia delle Entrate – scrive Follo, reggente dell’Adiconsum sannita – notificano gli atti e gli avvisi di pagamento ai singoli cittadini esclusivamente per via postale, di norma a mezzo raccomandata A.R. La modalità di invio elettronico degli atti è riservata esclusivamente, e soprattutto attraverso la modalità PEC (posta elettronica certificata), alle aziende e società. Invitiamo, perciò, i cittadini contribuenti – conclude – a non tener assolutamente conto delle predette e-mail cestinandone immediatamente l’intero contenuto. Nella comunicazione elettronica, infatti, vi è l’invito a “scaricare” il documento cliccando sul punto. Anche questa operazione è assolutamente da evitare in quanto potrebbe attivare un virus elettronico che si istalla automaticamente sul Personal Computer”.

Equitalia poggia le proprie basi sulla rateazione

Anche dopo la mini riforma operata con D.Lgs. 159/2015, possiamo certamente affermare che la “sopravvivenza” di Equitalia è strettamente connessa con l’ampliamento delle procedure di rateazione.


Le azioni di recupero, certamente più efficaci ed efficienti del passato, non sono insomma sufficienti per agevolare la riscossione delle somme pendenti, complice il diffuso stato di crisi finanziaria dei contribuenti.
Pertanto, si è riscontrato che l’unica via d’uscita sia quella di consentire al contribuente unrientro rateale, cercando di tollerare alcuni ritardi e disguidi, pur di incassare qualche cosa. L’alternativa, ormai evidente, è quella di non recuperare più alcunché, magari accodandosi ad altri creditori con maggior grado di privilegio.
In tal senso leggiamo l’ennesimo restyling all’articolo 19 D.P.R. 602/1973, sostanzialmente finalizzato a rendere libera e priva di vincoli la rateazione di somme sino all’ammontare di 50.000 euro.
Probabilmente si va a racchiudere una grande parte di posizioni pendenti, rendendole di fatto sempre ammesse alla rateazione, senza più alcun vincolo di sorta.
Tale circostanza ben si evince dal nuovo comma 1 della citata norma che, prima delle modifiche, prevedeva che: “L'agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, laripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili”.
Emergeva, infatti, un potere discrezionale dell’agente della riscossione, sia pure da esercitarsi secondo modalità non discrezionali, magari di fatto standardizzate con l’emanazione delle Direttive.
Oggi, invece, il nuovo comma 1 prevede che: “L'agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà,concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, con esclusione deidiritti di notifica, fino ad un massimo di settantadue rate mensili. Nel caso in cui le somme iscritte a ruolo sono di importo superiore a cinquantamila euro, la dilazione può essere concessa se il contribuente documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà”.
Il cambio di passo appare evidente:
  • il precedente “può concedere” viene sostituito da un generico “concede”;
  • la situazione di innesco era da verificare, mentre ora viene semplicemente dichiarata dal contribuente.
E l’esistenza di una “free zone” sino a 50.000 euro appare evidente dalla lettura del secondo periodo, dal quale si ha modo di evincersi che, per importi superiori, “la situazione di obiettiva difficoltà deve essere documentata.
L’utilizzo dei termini non può essere casuale:
  • fino a 50.000 euro il contribuente dichiara ed Equitalia concede (senza alcuna valutazione, sembrerebbe);
  • oltre 50.000 euro il contribuente non può limitarsi a dichiarare ma deve documentare, e la risposta di Equitalia torna a permearsi di discrezionalità (sempre standardizzata secondo il contenuto delle Direttive), visto che l’agente “può concedere.
A tale ampliamento della concessione del beneficio del pagamento rateale, corrisponde poi una sorta di patto di serietà, che si evince dall’analisi delle cause di decadenza dal beneficio.
Infatti, nel vecchio sistema la decadenza si produceva con il mancato pagamento di 8 rate,anche non consecutive, mentre nel nuovo panorama il numero di appuntamenti mensili “mancati” scende a 5.
Sembra, in sostanza, che si voglia affermare:
  • da un lato una maggiore elasticità all’accesso;
  • dall’altro, una maggiore rigidità nella gestione degli impegni assunti.
Tuttavia, anche nella gestione della patologia si riscontra qualche cosa di positivo.
Infatti:
1.      il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione (e su questo non registriamo nessuna novità);
2.      l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione (ed anche su questo aspetto nulla cambia);
3.      il carico può essere nuovamente rateizzato se, all'atto della presentazione della richiesta, le rate scadute alla stessa data sono integralmente saldate. In tal caso, il nuovo piano di dilazione può essere ripartito nel numero massimo di rate non ancora scadute alla medesima data.
La disposizione di cui alla lettera c), invece, appare del tutto nuovo, e si configura come una sorta di ripescaggio permanente del contribuente che non ha rispettato gli impegni.
Nulla di drammatico, verrebbe da dire, poiché:
  • si può avviare una nuova rateazione;
  • per riattivare il beneficio è però necessario saldare lo scoperto, integralmente;
  • la scadenza dell’originaria dilazione non viene modificata.
Qui si ha la conferma della importanza attribuita alla rateazione.
Chi paga, in sostanza, mantiene il beneficio, anche se la decadenza non seguita da un pronto rimedio potrebbe determinare l’avvio delle azioni esecutive, poi nuovamente bloccate dalla ripresa dei pagamenti.




La cartella di Equitalia deve contenere la motivazione

La cartella di pagamento, notificata da Equitalia ed emessa a seguito del controllo formale sulla dichiarazione dei redditi deve essere necessariamente motivata, essendo il primo atto che riceve il contribuente: per cui è nulla se non motiva sull’avvio della riscossione. 


Lo ha chiarito la Cassazione con una sentenza di poche ore fa. Dalla cartella di pagamento deve emergere almeno l’iter logico-giuridico che ha indotto l’Agenzia delle Entrate a iscrivere direttamente a ruolo gli importi dovuti dal contribuente. La procedura di controllo formale della dichiarazione dei redditi, infatti, si caratterizza per l’effettuazione di controlli su dati e documenti esterni rispetto al mero contenuto cartolare della dichiarazione, che si risolvono sovente nell’accertare la veridicità di quanto in essa riportato e non la mera sussistenza di errori di calcolo o di omissioni. La cartella di pagamento – chiarisce ancora la Corte – deve essere preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo, a pena di nullità, poiché tale comunicazione assolve ad una funzione di garanzia e realizza il necessario dialogo tra fisco e contribuente prima dell’iscrizione al ruolo. Nel caso esaminato, sebbene la missiva inviata al contribuente desse atto della rettifica dei dati dichiarati, la cartella di pagamento non conteneva né un espresso rinvio alla comunicazione né precisava l’iter logico-giuridico che ha indotto l’ufficio accertatore a iscrivere a ruolo le somme asseritamente dovute dal contribuente. Secondo i giudici di legittimità quindi, la cartella era viziata per carenza di motivazione. La decisione conferma un orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità secondo il quale anche la cartella di pagamento non può limitarsi a generiche e stereotipate motivazioni, dovendo circoscrivere le ragioni alla base della pretesa.